Performances 2012/2013 – Masbedo

Artisti: Masbedo (Nicolo Massazza, Iacopo Bedogni)
Anni: 2012 – 2013

#4 I have not a Dream
con: Masbedo, video audio performance – Borgar Magnason, violoncello
Credits: Produzione Snaporazverein
Presentata a Berlino, Ambasciata d’Italia il 28 aprile 2012, evento speciale nell’ambito della 7a Biennale d’Arte Contemporanea a Berlino.
Courtesy per le immagini: Masbedo

#5 Orgia
con:
Masbedo, video audio perfomance – Lagash, basso e sound design – Gianni Maroccolo, chitarra elettrica
Credits: Produzione Snaporazverein, Centro Pecci per l’Arte Contemporanea
Presentata a Prato, Museo Pecci per l’arte contemporanea il 30 maggio 2012
Courtesy per le immagini: Esther Mathis

#6 Cose
con:
Masbedo, video audio performance – Lagash, basso e sound design – Gianni Maroccolo, chitarra elettrica
Credits: Produzione Snaporazverein
Presentata a Modena, Manifattura Tabacchi nell’ambito del Festival della Filosofia, « Cose »,
Modena, il 15 settembre 2012
Courtesy per le immagini: Masbedo

#7 Resusci Anne
con:
Masbedo, video audio performance – racconto di Walter Siti
Credits: MAMBo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e Pinacoteca Nazionale Bologna, in collaborazione con Snaporazverein
Presentata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna nel corso della mostra personale dedicata ai Masbedo, Gelo, a cura di G. Maraniello – S. Samorì, all’interno della programmazione di Art City, il 17 gennaio 2013
Courtesy per le immagini: Masbedo

Courtesy per il video del progetto « performances 2012-2013 »: Masbedo

Queste video audio performance -oltre a costituire il primo impegno produttivo in assoluto di Snaporazverein e il primo incontro con i Masbedo- sono e restano segni, tappe di un percorso che ha avuto come protagonisti i grandi temi dell’esistenza e l’impegno dell’artista, in senso politico ed etico, nel dare una lettura, una percezione del presente.

I have not a dream #4 ha messo in scena la distruzione delle utopie. Nel lavoro live, sempre unico e irripetibile, lo stravolgimento del discorso di Martin Luther King si intreccia all’icona pop di John Lennon (Imagine) che viene volontariamente e indelebilmente alterata, graffiata da uno strumento chirurgico. A fronte di questo dissesto degli archetipi non resta che affidarsi all’eloquio doloroso e commovente dei sordomuti che cercano di ri-crearli. Sono la manifestazione di un faticoso e necessario ritorno alle orgini inteso come percorso di ricerca finalizzato a un nuovo linguaggio, un punto di ripartenza. L’unica via da percorrere sembra quella dello stare e dell’essere con la fragilità effimera, spiazzante e tragica del Vivere.

In Orgia #5 il registro della non narrazione live corre parallelo alle esperienze performative precedenti. Gli artisti si affidano, con rinnovata determinazione, al flusso dirompente dell’insicurezza. Ritorna la struttura visiva a due schermi con l’imprescindibile tavolo di lavoro, fabbrica di alchimie visive colte sempre nel loro farsi, trasformarsi e disfarsi in un vortice che sembra senza soluzione, senza via d’uscita. Questa volta il soggetto/oggetto è quello del «desiderio come forma di ricatto dal potere, quindi della mercificazione pornografica del pensiero nella società globale contemporanea» partendo dalle amare riflessioni di Stig Dagerman scritte nel suo monologo Il nostro bisogno di consolazione (1952): «…io mi rifiuto di scegliere tra l’orgia e l’ascesi, anche se il prezzo dev’essere un tormento continuo (…) ciò che cerco non è una scusa (…), ma il contrario di una scusa: l’espiazione. ».

L’impegno di carattere politico evidente nelle prime due performance in Cose #6 si rigenera e si ricarica di nuova linfa, con un’improvvisazione in cui il tema portante è la Materia. L’alchimia messa in campo dagli artisti ha provocato un caleidoscopio idealmente infinito di situazioni e condizioni attraverso un’estetica fatta di forme-contenuti e materiali fra i più disparati (dal cemento ai coriandoli colorati) che, con la vitalità dei suoni, ha raggiunto un intreccio e una sintesi a tratti di un’intensità quasi perfetta, impensabile nella realtà. Ma è un « risultato » che solo all’apparenza può sembrare consolatorio, un approdo sicuro. In effetti la messa in scena ha molto insistito sul carattere irrimediabilmente frammentario di una realtà « a rischio » priva di punti di riferimento, dove tutto -anche quando è bello e seducente- fluttua sfuggevole senza una direzione nè un’intenzione precise. In questo disordine esistenziale ed emotivo l’unico arresto possibile è provocato dall’irruzione violenta e tragica di un magma coprente e distruttivo.

Resusci Anne#7 ha messo in scena l’artificio dell’ Esistenza lungo quel crinale estremo, ultimo che annienta e unisce la vita e la fine di tutto, dove vita/bellezza ideale e morte/resurrezione sono costrette a incontrarsi, lacerandosi definitivamente o trovando una via di scampo. La performance ha messo in scena, in evoluzione continua, uno dei possibili percorsi verso la disperata ma necessaria ricerca di « salvezza ». Gli artisti si sono affidati agli oggetti fra i più disparati (passando dal piccolo robot a Resusci Anne, il manichino della respirazione artificiale e quindi della possibile sopravvivenza) tutti animati di vita artificiale o attivati e inseguiti dagli artisti in uno spazio senza riferimenti, che è la somma del tutto.
Anche in questo frangente si è venuto a creare un generale senso di spaesamento senza soluzioni nè consolazioni possibili dal quale –e solo grazie alle Arti- potrà e dovrà essere rianimato soltanto quel « sorriso che traversa i mondi », memoria dell’ Essere come ben stigmatizzato dal racconto che Water Siti ha scritto appunto per Resusci Anne:

« Note su Anne, sul suo sorriso annegato e rifatto in plastica. Dicevano che la bellezza avrebbe salvato il mondo, ma il mondo non è riuscito a salvare la bellezza. Nemmeno la prima speranza era vera, il mondo che stava annegando s’è aggrappato alla bellezza, ma la bellezza non ha potuto farci niente perché era il mondo stesso che l’aveva creata.
La bellezza è una trappola d’oro dove s’impiglia chi cerca la verità. Il bello è brutto, il brutto è bello.
Tutto è apparso bello ed è svanito: la gobba dei bisonti, il profilo dei Faraoni, l’uomo nudo, il mare verde e la campagna azzurrina. Su quell’argine faceva freddo. Soprattutto il sorriso delle femmine (lontano estro, velata fertilità). Il sorriso della Gioconda, i tesori che nascondeva.
Non nascondeva nessun tesoro, se non un accordo dei maschi per farne riserva.
Le Madonne dell’annunciazione si sono stancate di aspettare, si sono alzate e hanno iniziato a sculacciare i bambinelli.
La bellezza è scappata piangendo, è fuggita nei boschi insieme alla sorella Ingiustizia, di notte torna travestita da vampiro, succhia il sangue delle donne annegate e degli uomini sportivi.
Gli uomini cercano di rianimare la Gioconda, le praticano la respirazione bocca a bocca, ma lei non si sveglia, sogna i drugstore e i centri commerciali.
Così dicono che la bellezza si è prostituita, che torna solo per denaro, ha gli zigomi rifatti, le tette di plastica, i capelli bruciati, non sa più dire « guarda ! » ma solo « prendimi ! »; chi si accontenta va paga e prende.
A ciascuno il suo, ma se qualcuno cerca per tutti? Chi non si accontenta continua a cercare: una scintilla in una catasta di colori stridenti, un volto solo tra i mille volti della Morgue.
Nelle piccole tane è facile, nel muschio dove si procrea: ma fuori tira vento, le radiazioni picchiano. Il mondo non si può salvare, corre verso la sua rovina, ma il sorriso che traversa i mondi, quello dobbiamo rianimarlo – alla faccia della verità. Lo scritto di W. Siti è stato pubblicato in: Masbedo, Todestriebe, Fondazione Merz, Torino, ottobre

2014 – gennaio 2015, catalogo e mostra a cura di Olga Gambari, Torino, 2014, pp. 52-53.

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